Sion's blog

It's nothing. But with a little part of me.

Il mio cambio di programma

bewildered-230x230Volevo scrivere un post sulla violenza.
Idea semplicemente rimandata.
Oggi un pezzo dell’onnipresente Gramellini ha colto la mia attenzione e ha sovrastato la mia voglia di scrivere il “libello” che avevo in mente.
Per chi non avesse letto il post lo può leggere qui:

http://www.lastampa.it/2013/06/15/cultura/opinioni/buongiorno/torassic-park-ymjwZ1z9nVOzurmIm5dcbM/pagina.html

Caro Gramellini, prescindendo dalla mia personale idiosincrasia per il giornale per il quale scrivi (ovviamente quando si scrive “alla Redazione” si scrive senza avere risposta né altro ma vabbè ok, non è certo la prima redazione che si comporta in questa maniera), mi sembra che il problema tu lo abbia intravisto ma non (deliberatamente?) centrato.
Un po’ come nel tuo scritto di qualche giorno fa (probabilmente di ieri) “Razzistini”.
In quest’ultimo post contestavi a ragion veduta l’odiosa frase della consigliera ormai ex leghista sul ministro Kyenge: tuttavia al di là dell’odiosa offesa alla titolare del dicastero, dobbiamo registrare il perché di queste “uscite”. Oh certo, possiamo fare una tassonomia dei razzisti(ni): è bello, di colore, e forse ci scappa anche una risata.
Ma Gramellini, è d’obbligo cercare l’ontologia dei fatti e non fermarsi alla loro immagine. Come il ladro che delinque e le motivazioni che l’hanno spinto hanno un peso in sede di giudizio così questi episodi (alcuni gravissimi) debbo essere analizzati nei loro perché. Tacciarli di “razzismo, punto” è un po’ poco.
La politica dell’assistenzialismo è universalmente orientata a proteggere le risorse umane interne agli stati, scegliendo poi gli stranieri secondo vincoli meritocratici. Tradotto: se sei straniero e sei capace, vediamo se nel nostro paese abbiamo gente altrettanto capace….se non c’è, benvenuto a bordo. Razzismo?
Non credo. Il problema è che se le critiche poste civilmente vengono tacciate di “razzismo” prima o poi arriveranno quelli che riterranno (sbagliando clamorosamente) le vie di fatto l’unica soluzione.
Il post di oggi è invece la scoperta di una ovvietà: il calo demografico. Problema risalente in Italia e credo anche all’estero. Il motivo? Ovviamente il lavoro ma anche una visione della vita che premia l’individuo e non la famiglia.
La condizione servile della donna nei paesi arabi (ma a volte anche nell’est Europa) descrive il sesso femminile solo come moglie/madre/colf subordinata al marito. Dall’altro lato l’emancipazione femminile (non perfettamente compiuta: retaggi medievali persistono in alcuni uomini che ancora tendono a “cosalizzare” le donne) ha a volte portato a risultati eccessivi, facendo ricalcare alle donne alcuni dei più brutti comportamenti maschili.
Ci vuole educazione ed equilibrio. In alcuni paesi serve una maggiore consapevolezza da parte delle donne. Mentre in paesi come il nostro servirebbe una rivisitazione di un mondo antico, dal quale però dobbiamo evitare di riesumare anche fantasmi di un’epoca ricca anche di ombre: insomma serve equilibrio.
E, ovviamente il lavoro ci deve essere, come delle VERE politiche per la famiglia: gli assegni per i figli (senza il problema del lavoro risolto) sono una misura che sa di età fascista e che premia suo malgrado (va detto senza timore di essere tacciato di essere “razzistino”) le famiglie numerose di provenienza (anche ma non solo) nordafricana, quando magari ci sarebbero delle giovani coppie che con delle più efficaci misure per l’occupazione una famiglia la potrebbero anche creare.
L’analisi, Gramellini, mi appare ovvia e, forse, un po’ “superficiale”. C’è un giusto accento su dei problemi, ma l’analisi non è delle migliori.

Comunque l’inatteso cambio di programma è stato gradito.

 

Il mio attacco diretto (alle agenzie di lavoro interinale)

ricercalavoroUna delle invenzioni più losche e improduttive degli ultimi (dieci?) anni sono le agenzie di lavoro interinale.
Queste “attività” nascono nel solco di supplire alla difficoltà d’incontro (davvero?) tra datore di lavoro e lavoratore, superando il vecchio collocamento e trasportando nel mondo del lavoro una logica tipica dei broker.
In principio fu (credo) Adecco, tallonata da Randstad e dall’allora Metis (adesso Openjob Metis suppongo). Oggi c’è una pletora di queste agenzie interinali tanto che a volte, passeggiando per Milano si trovano tre, quattro filiali di altrettante società di lavoro temporaneo.
V’è da chiedersi l’utilità strumentale di una simile scelta che ricorda da vicino (almeno a me) i phone center per stranieri presenti nella città, circa 2-3 letteralmente appiccicati, con una logica che chiaramente esula dalla competizione imprenditoriale.
Già, quale logica sottende alla presenza di sì tante filiali società di lavoro temporaneo attaccate l’una all’altra?
Personalmente ritengo una mera scelta numerica, ossia la capacità di presentare al datore lavoro più “teste” possibili, dimostrando una capacità attrattiva maggiore (non necessariamente una capacità di recruiting).
Si pensi ai colloqui di valutazione (ma diamoci un tono, chiamiamoli “assessments”: è un inglesismo perfettamente inutile come tanti altri ma – evidentemente – fa figo). Il più delle volte sono colloqui per i quali un ragazzino di 15-16 è già titolato. A volte invece vi sono prove psico-attitudinali che affondano i loro tentacoli di qualcuna delle nuove facoltà che “tirano” (leggi: scienze della formazione e simili) e che ricordano da vicino i deliranti test che facevo alla visita medica di leva.
Prassi odiosa dal carattere di appendice è invece il non leggere nel 90% dei casi il CV del candidato (che comunque ti invitano a portare e/o mandare via mail) ma invitarlo alla compilazione di moduli atti a riempire i loro database interni.
Senza dimenticare la chiosa finale: “Entro tot giorni la ricontatteremo”. Ovviamente non sarà così (tranne episodi che hanno il carattere di eccezione che conferma la regola). Le agenzie sono il massimo dell’inutilità. I recruiter migliori sono quelli interni alle società che sono VERAMENTE preparati. Quelli delle agenzie temporanee sono impiegatucoli prestati a quel lavoro, non certo persone preparate. E’ avvilente presentarsi ai loro colloqui (della durata di 10-15 min circa, di cui la più parte spesi a compilare moduli).
Personalmente una di queste agenzie s’è persino azzardata a non dirmi di non aver superato una selezione, mandandomi a fare una magrissima figura davanti con l’azienda richiedente.
Ovviamente ho chiesto chiarimenti.
La risposta? Un sincero, ma soprattutto maturo, “non l’abbiamo fatto apposta, ci scusi”.
Quale disgusto. La mia idiosincrasia per le agenzie di lavoro interinale è ai massimi storici.

La mia teorizzazione

leviatano_hobbesIn tempi in cui spesso si mugugna la propria opinione (sul genere “facciamo la rivoluzione, senza ricordare che la storia ci ha insegnato dove portano le rivoluzioni”), dove magari ex-vallette si scoprono opinioniste (o peggio, ministri), la massima espressione del dibattito democratico è disquisire sui problemi coniugali del nostro premier, magari (forse) condividere la propria opinione su una nazione come è quella di FB (“nazione” sì, avete capito bene, andate a vedere quanti sono gli iscritti a livello mondiale) può essere utile.

Il male del nostro Paese non sono (non solo e non tanto) il numero esponenziale di immigrati sul territorio.

In fondo questo ce lo si poteva anche aspettare. Nel secolo scorso le potenze occidentali hanno fatto di paesi come l’Africa ed il Medio Oriente il proprio parco giochi coloniale (basta leggere qualche documento sul ruolo degli inglesi nella disputa fra arabi ed ebrei), non hanno avuto alcun interesse a promuovere uno sviluppo democratico e quindi gli stati dell’area (i quali non hanno mai conosciuto un Risorgimento, un Illuminismo etc etc…) non sono altro che il prodotto degli equilibri mandati in frantumi dai conquistatori: guerre civili, guerre religiose, guerre razziali….ed in tutto questo magari qualche volta c’è lo zampino anche di qualche nazione, come dire, “interessata” alle risorse di quel territorio, la quale interviene con aiuti economici, se non peggio.
Insomma la massa degli immigrati della cintura nordafricana, africana e medio-orientale è figlia (anche) “nostra”. Ovviamente non è che adesso bisogna accoglierli tutti, indistintamente, e nemmeno dire, non senza un filo di ipocrisia, “la maggior parte sono brave persone”, perché questo non lo sappiamo…la fame, la guerra, trasformano le pecore in lupi quindi cerchiamo da un lato di essere attenti (ma non populisti sul modello “fuori tutti” perché realisticamente impossibile) e quantomeno realisti nel dire che l’accoglienza è possibile ma dev’essere veicolata e regolamentata da norme di respiro europeo (se non proprio mondiale) accettate. Norme nuove, intendo, norme che prendano atto che il “profugo di guerra” non è più un singolo, ma una massa confusa e disordinata, capace anche di delinquere perché, in fondo, al posto loro noi non saremmo certo migliori se avessimo il loro vissuto.
Possiamo parlare anche di altre immigrazioni, come quelle prodotte da accordi economici (Cina) o da regimi fallimentari (Europa dell’Est, ex-URSS), o provenienti da altri paesi in difficoltà (Sud America e paesi come le Filippine o il Bangladesh): delle ultime parlare è semplice, in quanto sono le guerre delle quali a pochi è ben importato qualcosa…se non ci sono interessi, non c’è Onu che tenga….dopo la catastrofe ci si accorge del disastro (e non oso immaginare quanti altri paesi vivono in detta condizioni e nessuno sa alcunché); parlando dei paesi ex COMECON, beh…il comunismo qui ha fallito…il comunismo vero (non quello che il nostro capo dell’esecutivo vede ad ogni angolo delle strade), il comunismo della “dittatura del proletariato” e dell’abolizione della proprietà privata in favore di quella collettiva…una piccola nota, per cominciare…il comunismo – di base – è fallimentare e non perché ce lo dice la destra, ma ce lo dice la storia….i paesi definiti elegantemente “ad economia pianificata” sono divenuti l’espressione più negativa e rapace del capitalismo (Cina, Russia su tutti) in quanto prima erano delle dittature (non erano certo l’espressione più alta della democrazia soggetti come Stalin, Mao, Pol Pot, …) le quali erano il lasciato di una ideologia che faceva avocare allo Stato ogni cosa nella convinzione che, fisiologicamente, questi s’operasse per il bene del popolo a tal punto da auto-estinguersi…il che è un’ipotesi pressoché peregrina; lezioncina di storia a parte, questi paesi dopo il fallimento del comunismo hanno scopiazzato la parte peggiore del liberismo in quanto detti paesi non erano retti da regimi democratici, con il risultato che – infischiandosene di tutti i diritti dei proletari (proprio loro !) – hanno dato il via ad una scalata economica (di pochi) senza precedenti; ovviamente i nostri imprenditori (e non solo) sono rimasti colpiti da questa politica ed hanno optato per la delocalizzazione di alcune delle loro imprese verso paesi (non solo ex comunisti) dove il diritto del lavoratore non esisteva, abbattendo i costi di produzione, ma mantenendo inalterati i prezzi per il consumatore finale: l’invasione cinese in Italia (che ha messo in crisi persino il buon vecchio ambulante) nasce perché in Italia arrivano quelli che in Cina non ce l’hanno fatta e che in un paese in crisi come il nostro trovano un humus perfetto: produzione massiccia (senza garanzie, senza niente) e costi bassi con conseguenti prezzi bassi….ed ovviamente la poca liquidità porta fisiologicamente a spendere da loro…e guai a controllarli o altro: chi ricorda la mini-rivolta in via Paolo Sarpi di qualche hanno fa ? Persino l’ambasciatore cinese in Italia e Pechino hanno fatto la voce grossa: insomma, voi vi tenete i nostri e noi vi facciamo il favore di far sgobbare i nostri concittadini nelle vostre filiali di qui. Un pò lo stesso discorso che fa la Romania.
Poi possiamo parlare di cosa tolleriamo dalla Russia (le ultime elezioni sono state un insulto alla democrazia) per il gas.

La cosa più grave è che la politica non vede più i diritti.

Si accusano i sindacati (i quali comunque non sembrano più incisivi come anni fa…), si dice che l’art. 18 non serve più, abbiamo abolito la scala mobile, abbiamo accettato la logica del precariato…sono state da un lato topiche madornali e dall’altro sono balle colossali.
Lo sapete qual è la sporca verità ? Ma sì che lo sapete. L’imprenditoria è entrata in politica. Si ragiona per obiettivi economici. Non si dice mai: esportiamo i diritti al fine di creare un mercato il più concorrenziale possibile, no, meglio uniformarci (si fa prima) alle brillanti politiche cinesi o sfruttiamo la disperazione degli immigrati (creando un conflitto sociale fra poveri) ed abusiamo dei contratti atipici (non mi ricordo quale politico disse che bisognava “scordarsi” del contratto a tempo indeterminato).
I diritti costano quindi, non sono efficienti per mercato, non sono redditizi.
Poi ci si meraviglia che non ci si sposa, non si fanno figli e che siamo un paese “vecchio” (e che quindi va alzata l’età pensionabile, come se tutti gli over 50-60 fossero notai o manager): come fa una coppia di precari a sposarsi, comprar casa e metter su famiglia ? Basta discorsi vuoti o dare la colpa al marocchino sotto casa che fa figli come un coniglio: è la loro cultura, certamente discutibile, ma è la loro cultura…ovviamente quando ammazzano una congiunta perché “troppo occidentale” lì il diritto deve intervenire (ma qui ne parlerò meglio dopo).
Insomma servono politiche che azzerino i contratti atipici e creino solo stage (di max 6 mesi) finalizzati all’assunzione, senza ritenere che adesso tutti quelli che hanno un contratto a tempo indeterminato siano fannulloni o altro. Serve una formazione migliore garantita a tutti i livelli (elementari, medie, superiori e università) e che le scuole dialoghino con le imprese, senza far ingrassare i tenutari di stupidi e costosi master. Serve una (vera) lotta ai baronati. Servono politiche per la famiglia, almeno per aiutare quelle coppie che vogliono avere una famiglia (mi rendo conto oggi un obiettivo sempre meno di moda).
E la soluzione è la redistribuzione delle risorse.
Ammettiamolo, servirebbe. Ma perché non si fa ? Beh, sicuramente perché chi sta al potere non vuole vedersi decurtato lo stipendio ma anche perché con l’entrata in politica dell’imprenditoria, anche il concetto di redistribuzione delle risorse è entrato in crisi: è un problema politico, non economico, ma se gli ambiti si uniscono sino a confondersi è ovvio che sia un argomento tabù nelle aule parlamentari.
Sarebbe molto intelligente creare una sorta d’incompatibilità tra professionista (di qualsiasi tipo) e politico. Altro che fra le carriere di avvocati e di giudici.
Servono norme (ferme) per punire imprenditori che assumono in nero ed ancor di più che assumono in nero immigrati clandestini.
E’ necessario tracciare (con legge costituzionale) criteri economico-statistici per definire il reddito di chi fa politica: nessun riferimento ad usi o equità, in quanto così facendo eliminiamo (o almeno ci proviamo) interpretazioni lassiste e continui scambi d’accuse fra politici e magistrati (in quanto i politici affermano che il loro reddito è legato a quello dei magistrati).
Non ha poi molto senso inneggiare ad una nuova austerity quando abbiamo un gruppo di politici fra i più pagati in Europa (è veramente assurdo ed economicamente parlando lo è ancora di più).
Seguirebbero poi riforme, come dire, di mero diritto.
Bisogna riscrivere i codici e le procedure (specialmente penali): l’ottica sottesa a questi testi è superata, bisogna eliminare figure di reato ormai assenti o depenalizzabili, togliere riti speciali come il patteggiamento (che non è altro che una giustizia a pagamento che premia una classe sociale, come se non bastasse la difficoltà a pagarsi un avvocato e la ridicola soglia posta come criterio per accedere al gratuito patrocino), andare oltre ad un (comunque giusto) sistema che vede l’imputato come innocente sino a sentenza di condanna definitiva ma le cui garanzie penalizzano la celerità del processo, favorendo fenomeni come la prescrizione o che costringono il diritto penale ad altre forme di “abdicazione”.
Un inciso: pensare di eleggere i giudici è una stupidata.

Il mio personalissimo sfogo (reprise)

disoccupazione-rabbia-420x280Ok, dopo un po’ si esagera.
Non solo (o non tanto) perché si dovrebbe quantomeno conoscere una persona di giudicarla (o addirittura condannarla) ma soprattutto perché bisogna essere obiettivi con se stessi e con la situazioni.
Di voglie, desideri, sogni, progetti e ambizioni ne abbiamo tutti, chi più chi meno.
Tuttavia quando non è possibile che queste si concretizzino nell’immediato ci si dia un po’ di pace. E la si dia anche agli altri.
Non escludo che ci si rimanga comunque male. Siamo umani, non robot. E passi anche qualche momento di scoramento e/o frustrazione. Ma dopo un po’ la si finisca. Non è un momento facile. Per nessuno. Erigersi a migliore di qualcuno in questo preciso contesto storico è un errore marchiano, in quanto la volatilità (inaccettabile) di questo mondo del lavoro non perdona.
La cosa da tragica diventa comica (perché in fondo a volte una risata è peggio di una offesa) quando chi ti giudica vive del tuo stesso problema.
Anch’io ho paura. Ne ho tanta. Per me, 32enne inchiodato in casa dalla disoccupazione e per mia madre, vedova di più di 70 anni che probabilmente preferirebbe giocare (giustamente) con qualche nipotino.
Ma cerco almeno di non far soffrire nessuno. Sto male ma cerco di trasudare positività. Una positività di facciata, ma strumentale a farmi forza, visto che la depressione non serve proprio a nessuno.
Ignorare tutto questo in nome della propria paura è – dopo un po’ – meschino.
Poi ok, ho fatto degli errori. Li conosco. Ma sono nella possibilità di eliminarli? Se cado e mi faccio male, debbo piangere in eterno o stare più attento in futuro?
Ormai la questione non è più volere. E’ potere. Ma ovviamente chi ha qualcosa dirà che non è così. Dopo un po’ è un classico: laddove non si vive una situazione si crede che questa non esiste.
E forse queste persone le posso anche capire.
Ma le altre. Sinceramente no.
E lentamente il non capire diventa il non soffrire.
Già questo mondo del lavoro mi snobba. Anche se voglio imparare e mi metto a disposizione: sono troppo vecchio (?????) o troppo titolato (e mi è capitato di sentirmi dire: “ma perché si candida per questa posizione? Non è troppo titolato?”)
Già. Perché se si legge fra i consigli dei selettori del personali si legge che è importante “essere selettivi e concentrarsi su di un settore dove si è obiettivamente capaci”.
Scusate.
Non ho capito: se sono selettivo, sono condannato da un sistema che mi ritiene “choosy”, se non lo sono, sbaglio la mia ricerca di lavoro, disperdo tempo ed energie.
Mettevi d’accordo. Tutti.
Perché il prossimo step non è un post chilometrico. Ma un insulto di poche parole.

La mia idea sullle donne (maturata in anni di sit-com e cantonate)

botticelli_particolare-venere-300x230Sulle donne se ne sentono e se ne dicono parecchie. Come quella storia, classica, che le vede incapaci di guidare. Personalmente la mia fidanzata è un pilota mancato, ma di certo non è meno femminile di altre donne né io mi sento meno maschile con la mia guida da “defensive driving”.
Oppure strane regole, come quelle di ieri sera del tipo al Gasoline (“musica e magia”).
Sicuramente ci sono molti temi ricorrenti e due grandi verità: beninteso, tutto è confutabile, libere/i di tacciarmi di sessismo e simili.

Cominciamo dalle note ricorrenti:

– ogni donna, per quanto (si spacci) per forte e sicura, ha sempre un lato fragile che tiene nascosto per paura di essere ferita: dopotutto, this is a men’s world, e bisogna tirare fuori “gli attributi” anche quando – per natura – non li si ha;
– i fiori fanno sempre piacere (ma attenti a non darli nel momento sbagliato);
– sfatiamo un mito: le donne NON costano (escluse le prostitute, s’intende) …è ovvio che qualcosa la si debba pur pagare/regalare (nessuno è così pulcioso), una donna ama (o meglio, dovrebbe amare) per quello che si è, non per quello che si ha (non portatemi situazioni border-line sennò è ovvio che a tutto c’è un limite);
– come nel lavoro, un rapporto vive di fatti e non di chiacchiere….
– …..tuttavia mai sottovalutare il potere dell’ascolto e del dialogo: solo il confronto produce qualcosa, solo l’immedesimarsi (per qualche istante e con tutte le difficoltà del caso) nelle dinamiche della nostra partner ci condurrà a qualcosa di buono;
– la fiducia: se non si crede nella propria partner, allora è meglio lasciarla;
– le donne sono complicate, non complessate: noi uomini siamo – decisamente – più elementari, ma ciò non ci esime dal provare a capirle (mutuando una battuta che va forte per la Rete: se sappiamo che la malva è una pianta, possiamo aspettarci che sia un tipo di verde, non pretendendo che lei ragioni con una testa che non le appartiene)
– c’è e ci sarà sempre uno scontro tra i sessi; non si potrà sempre vincere (niente discorsi del tipo “chi guadagna di più” o “chi porta i pantaloni”); e qualche volta, nonostante la parità, l’uomo deve prendersi cura della donna (e non parlo solo dei soldi e di “cose” in generale) a costo di passare per sessista;
– l’equilibrio: ogni donna, persino la più romantica, adora stare sulle spine (dopotutto si desidera con maggior ardore solo quello che non si ottiene facilmente, su ammettetelo ^^)…ma occhio a diventare eccessivi o – peggio – pensare di plasmare la donna a nostra immagine e somiglianza (con la presunzione di essere dei pedagoghi)….noi saremmo contenti al posto suo ? Certo che no (anzi è la prima critica che muoviamo alle donne). Ovviamente vale la reciproca: dolci sì, ma occhio a non farle venire il diabete.

Quali sono le grandi verità, vi chiederete……^^
Beh, è molto semplice.
Nonostante detti e luoghi comuni, nonostante dicerie dette ai tavoli d’un bar scambiandosi pacche sulle spalle e cenni d’intesa, non esiste un “modo” per comportarsi con le donne, non esistono due donne uguali come non esistono due fiocchi di neve uguali; ogni donna è un viaggio unico, con le sue regole ed i suoi perché.
E la seconda, un frammento di una canzone che mi permetto di tradurre a senso: “questo sarà anche un mondo di uomini, ma sarebbe nulla, proprio nulla, senza una donna”.

La mia risposta istituzionale

Caro Presidente Letta,
sarò breve: scuse respinte, senza se e senza ma. Scuse respinte perchè già sentite, mutatis mutandis, sin troppe volte. “Il futuro sono giovani” è un mantra ripetuto da questa classe politica sino allo sfinimento da anni senza risultati apprezzabili. Anzi, mi spingerò più in là: senza convinzioni autentiche.
Asserire (brevemente) che “ok, abbiamo sbagliato, ma ora la musica cambia” ha un che di tragicomico che non fa onore a una delle cariche più alte dello Stato. Chiedere perdono a quei giovani che rischiano tutto all’Estero (e a quelle famiglie che danno – secondo le proprie possibilità – una mano a questi giovani) forse la renderà meno inviso del suo predecessore Monti, padre della celebre frase “la generazione dei trentenni è perduta”, o meno inviso di altri premier (come quello portoghese) che “semplicemente” invitava i giovani ad andarsene.
Forse. Ma la scusa è timida come un drappo che nasconde le pudenda.
Dipingere l’addio (o arrivederci) alla terra natìa come “l’arricchirsi della complessità del mondo” è un vezzo tutto italiano, mistificare la realtà con termini meno forti e negativi, come quando si parlava di “austerity” negli anni ’70 e questo termine anglofono addolciva la pillola della crisi petrolifera. Ma non mi meraviglio, un politico – alla fine – è anche un esteta della parola. Il viaggio all’estero è una scelta dai toni positivi quando mantiene le sue prerogative: cioè l’essere una scelta non una sottile forma di imposizione.
La crisi non si risolve così. Dovete farvi un serio esame di coscienza. Anche perchè non capite che l’emigrazione sposta in Europa (e non solo) i termini del problema senza risolverli. I giovani, costretti, vanno ad abbassare costi del lavoro ovunque: dobbiamo premiare i nostri giovani e – più in generale – “i capaci e i meritevoli” (anche stranieri), non chi ci costa di meno o il raccomandato (frutto delle clientele). In Canada, per esempio, ci sono strutture efficienti per ricevere lavoratori esteri. Qui in Italia no. Si gioca al ribasso non alla qualità. Basta vedere stati vicini a noi. O lontani, come Australia, Canada e USA.
Poi i costi della politica. Andiamo. Presidente Letta, sia onesto quantomeno con se stesso. Abbiamo la classe politica più “cara” in uno dei paesi più in crisi dell’area Euro. E’ accettabile? Sì? No? Le ricordo una cosa: tertium non datur. A nulla vale affermare che questo “risolverebbe ben poco il problema”: se risolverebbe poco, tantovale provarci. Ricordo anche che va “di moda” dire che i vostri emolumenti siano collegati a quelli delle più alte cariche del potere giuridico. Ok, nulla quaestio: si tagli anche lì. Ma non fate infantilismi del tipo “cominciamo prima lì”. Avete un ruolo da onorare. Ricordo anche che spesso si dice che “la democrazia costa”. Davvero presidente Letta? Lei conviene con questo assunto?
In attesa di una sua risposta, io le dico che non ci credo. La vostra indennità dovrebbe limitarsi a “garantire il libero svolgimento del mandato”. Ma credo si sia andati ben oltre. Modificherei l’art. 67 Cost. e la sua applicazione, la legge 31 ottobre 1965, n. 1261: serve un termine imperativo non un rapporto a un altro potere dello Stato, altrimenti si avrà sempre buon gioco a scaricare la colpa su altri senza mai fare alcunchè.
Lei ha giurato, come i suoi ministri, sulla Costituzione. Senza offesa, mi permetto di sottoporle alcuni articoli che sicuramente lei conoscerà meglio di me:
– art. 3 c. 2: È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
– art. 4 c. 1: La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.
Così, giusto per gradire.
E se ricordi una cosa che mi ha insegnato mia madre: le scuse servono a poco, non bisogna proprio mettersi nella condizione di chiederle… men che meno se hai la responsabilità di milioni di persone (aggiungo io).Image

I “miei” costi della politica

camera.jpg_415368877Si può ragionevolmente ritenere che chi pensa che il denaro possa tutto, sia egli stesso disposto a tutto per il denaro 

Benjamin Franklin

La vera libertà individuale non può esistere senza sicurezza economica ed indipendenza. La gente affamata e senza lavoro è la pasta di cui sono fatte le dittature.

Franklin Delano Roosevelt

Non ci girerò troppo attorno: l’idea che la Democrazia costa mi fa ribrezzo. E’ la foglia di fico dietro alla quale si nascondono i politici che intendono proteggere quello che, allo stato dell’arte, non è altro che uno status quo. Si bombarda senza appello il modello americano: “Volete che comandino le lobby come negli USA? Volete che governino solo i ricchi?”

Difatti notoriamente in Italia sono frequenti le storie di persone comuni che assurgono alle più alte cariche dello Stato. Non valga come confutazione M5S: senza Grillo i grillini non sarebbero entrati nemmeno in un ufficio postale.

In Italia la politica i ricchi (o comunque coloro che hanno una maggiore disponibilità economica) la fanno di già. Provare a candidarsi per una qualsiasi carica anche di respiro locale risulta ostico a fronte di un sistema che ha ormai eletto la capacità/incapacità economica come fattore per orientare il voto (e non stiamo qui a fare i pudendi, che non ci crede nessuno).

La politica costa, non la Democrazia: un po’ come dire che le prostitute costano e non le donne. Ok, qualche cena la dovremo pure offrire, ma non è la nostro conto in banca che la farà innamorare.

Ancora più odioso è definire – come ahimè ho sentito da una persona che ritenevo migliore di quanto è in realtà – tutto questo sistema clientelare come “voto democratico”: ora lo so che la bellezza è nell’occhio di chi guarda, ma se lo specchio mi dice che assomiglio a Lino Banfi, non posso convincermi (e convincere altri) che io sia Raul Bova.

Il sistema USA, con i suoi difetti, sarebbe già un passo avanti: un sistema partitico ridotto al minimo, zero segreterie di partito (le quali smetterebbero di essere una sofisticata forma di spa), strutture leggere e ad hoc che si costituiscono in prossimità delle elezioni e che non sono più ricettacolo di clientele.

In Italia i partiti rastrellano denaro pubblico, utilizzandolo nei modi più scellerati.

Residualmente poi il cumulo di cariche pubbliche-private è odioso. Uno non può essere avvocato, impreditore o altro e fare il parlamentare, l’ad o altro: a parte che ovviamente non farà alcunchè di bene, toglie soldi e lavoro ad altri.  E’ vero siamo (davvero?) un paese libero e quindi ognuno può fare quello che vuole, ma ancora non mi risulta che la legge autorizzi alle cavolate.

Come risanare un po’ di conti?

 

– partiti modello USA (guadagnateveli ‘sti voti e non comprateli), senza alcun finanziamento se non volontario e comunque senza tesseramento o forse assimilabili;

– riduzione dei parlamentari (io farei come in Germania, con la Camera Alta e quella dei Lander….) e riduzione dei loro emolumenti, introducendo nella Costituzione una definizione precisa in merito (altro che “equa indennità”, concetto vuoto e piegabile a logiche pericolose);

– montenimento di alcuni benefit (spese di viaggio e simili solo se collegate al mandato) e comunque adeguamento dei costi della mensa al loro reddito: pagare così poco alla buvette è increscioso, immorale e fa rivoltare nella tomba tutti i Padri Costituenti;

– togliere l’aspettativa agli eletti: sarò impopolare, ma non trovo giusto che una persona che percepisce così rapidamente una pensione possa anche avere questi vantaggi;

– il Presidente della Repubblica non può prendere più del doppio di un parlamentare (ovviamente dopo l’adeguamento): una vera idiozia tutta italiota quello di coprire d’oro il Presidente

 

Questo per cominciare. E per chi dice ” Ma questo non risolve certo i problemi del Paese” ho solo questo da dire: “Cominciamo, intanto. Se tutto questo è di così risibile impatto, cosa hai da temere?”

La mia nausea preoccupante

nauseaNon sono mai stato una persona molto intelligente.
Si, ok, ho una laurea (fatto fra le varie divenuto irrilevante ormai in questa Italia di clientele, conoscenze e mediocrità) ma in fondo questa può definirmi quale persona acculturata, non necessariamente intelligente. L’osservazione mi sorge quando – evidentemente preda di una sindrome masochista – vado a “spignattare” un po’ nel mio passato lavorativo, gesto figlio di una crisi che non da’ sbocchi (o che sembra non darne o che io non vedo, de gestibus, fate voi). Gesto che ha solo il risultato di inasprire la pseudo nausea che da giorni mi infiacchisce e che ha fatto sloggiare in buon ordine la contrattura al collo (ok, ok, vedrò di far benedire un giorno di questi). Poi ovviamente finisco preda di corsi e ricorsi storici, di domande poste e riposte più volte (non solo a me).
Provo a tirar su lo spirito pensando a come fare un cosplay di Iron Man (questo conferma il mio assunto iniziale: sarò anche laureato, ma proprio intelligente non sono), ma serve a poco, giusto il tempo di riflettere sui costi dei materiali e realizzare che proprio non è aria.
Sospiro.
Apro Pepakura (non sapete cos’è? Cercatevelo). Rimesto nei .pdo senza molta convinzione. Apro Illustrator. Provo a finire un logo ma la creatività è sotto il minimo di legge.
Penso: “Beh, quante cazzo di cose so fare!”. Penso al database in Excel per la contabilità (con grafico annesso). Penso al fatto che sto studiando tedesco (con tutti i miei limiti). Penso che sto imparando a lavorare in maniera decente con la grafica e che il mio inglese non fa ancora del tutto schifo. Penso che una consecutio la sappia ancora fare. Penso che il mio PC ha visto molte volte il prepensionamento, ma l’ho riesumato prontamente: sintomo che non sono formato come tecnico informatico, ma che a differenza di certi non vado in barca se il computer “tossisce” un po’ e non mi agito come una puerpera se il browser va in full screen facendo sparire per 30 secondi la mia preziosissma barra degli strumenti, fattore che nel 2013 può significare di avere la formazione di una procavia.
Con tuttto il rispetto per le procavie, s’intende.
Continuo a pensare.
Penso di aver imparato tante cose in poco tempo eppure c’è chi ancora non sa come inoltrare una chiamata (intanto la fida procavia che nel frattempo mi funge da assistente mi ha appena spedito un fax nel quale si offfre di spiegare tale “arcano” strumento).
Penso che, pur non essendo intelligente, pur essendo non particolarmente acculturato per i tempi, scrivo meglio di quelli che curano certi annunci, sbagliando la grammatica e la sintassi elementare. Penso che mi si chiede una perfetta padronanza della lingua inglese da persone che parlano il dialetto “biscardiano” di questa lingua.
Sarà, ma il mio TOEFL è lì. Niente di che, vero. Però in inglese so scrivere (e senza usare google traduttore, simpaticone che ti credi dio).
Penso che in un paese civile e meritocratico di meri esecutori con la faccia come il deretano di un babbuino potremmo farne volentieri a meno. Ma il mondo necessita di questi soggetti. Non pensano. Agiscono con la facoltà scimmiesca dell’imitazione. E magari, proprio perchè questo mondo è fatto da clientele e conoscenze, qualche poltroncina comoda se la prendono anche. Loro e i loro lacchè.
E i capi, per quanto mi si possa dire il contrario (gradirei però una verifica empirica a riguardo), hanno bisogno di queste scimmie. Non li mettono di fronte alle loro mancanze.
Che soddisfazione grama che ho.
Dimostrare di essere un homo sapiens.
In fondo la vita di una scimmia non è male. Specialmente se stipendiata.
E allora penso alle notti sui libri. Ai blocchi di appunti presi per non fare la figura da cioccolataio a lavoro.
E un po’ cioccolataio mi sento comunque.
Penso che la scimmia che mi sorpassa sogghigni compiaciuta. E’ un capo, no?
In un mondo normale spaccherebbe sassi con sassi.
Poi penso a quelli che sono figli di qualcuno di vagamente importante, riconoscibili dall’occhio spento di triglia e dalla faccia che farebbe ridere persino una bavosa. A volte puntano a qualche poltrona politica.
Sale un conato, ma poi penso che nel panorama italiano è perfettamente normale.
Il conato si ferma. Ma la nausea no.
La nausea no perchè penso a chi dice “largo ai giovani” come sinonimo di “largo a mio/a figlio/a” e tu che hai qualche idea “sei troppo giovane”. Ma se tu figlio ha enne anni in meno di me? Cos’è è un caso come quello di Benjamin Button? Sembra più giovane ma non lo è?
E per finire i geni che si credono arrivati e fanno la morale a mezzo pianeta se hanno un posto di lavoro. Tu non la hai? Non lo stai cercando. Davvero? Con quale protervia pensi di parlarmi così? Ma chi ti credi di essere?
Esprimo poi un mio pensiero e vengo tacciato (evidentemente da una persona che del diritto penale ne se quanto un pigmeo che guarda una cerniera lampo) di essere passibile di querela. Ovviamente invito a una rilettura del concetto della fattispecie di reato che mi si imputa e all’invito allego anche un bel ……… “con viva e vibrante soddisfazione”.
Ecco la nausea diventa un rutto. La procavia se ne va, infastidita. Chissà se starò meglio.

La mia citazione dotta

John_F._Kennedy“Non troveremo mai un fine per la nazione né una nostra personale soddisfazione nel mero perseguimento del benessere economico, nell’ammassare senza fine beni terreni.
Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell’indice Dow-Jones, né i successi del paese sulla base del prodotto nazionale lordo (PIL).
Il PIL comprende anche l’inquinamento dell’aria e la pubblicità delle sigarette, e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine-settimana.
Il PIL mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte di casa, e le prigioni per coloro che cercano di forzarle. Comprende programmi televisivi che valorizzano la violenza per vendere prodotti violenti ai nostri bambini. Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari, comprende anche la ricerca per migliorare la disseminazione della peste bubbonica, si accresce con gli equipaggiamenti che la polizia usa per sedare le rivolte, e non fa che aumentare quando sulle loro ceneri si ricostruiscono i bassifondi popolari.
Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia o la solidità dei valori familiari, l’intelligenza del nostro dibattere o l’onestà dei nostri pubblici dipendenti.
Non tiene conto né della giustizia nei nostri tribunali, né dell’equità nei rapporti fra di noi. Il Pil non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro paese.
Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta. Può dirci tutto sull’America, ma non se possiamo essere orgogliosi di essere Americani “.

J.F.Kennedy

Il mio punto sulla situazione

8230095021_2fc6631c5f_zE’ almeno da qualche giorno che invariabilmente la mia testa mi gioca qualche tiro mancino. Manda segnali? Semplice stanchezza? Forse entrambi, chi lo sa. Quel che è certo è che il ritmo della vita che conduco/conduciamo mi/ci porta a perdere di vista alcune cose e, quando le si vede di nuovo, è impossibile non fermarsi a riflettere.

Come ieri, quando il ragazzino – di cui non dirò il nome – al quale faccio ripetizioni mi dice che picchia le persone “perchè divertente” o che lui e i suoi amici “non picchiamo i secchioni. Li massacriamo”…e tutto con un favoloso sorriso sulle labbra, come se stesse parlando di un film comico.

E i compiti? “Io non faccio niente”. E i professori? “Prima mi mettevano le note, ora non mi sgridano quasi più”

Qual’è la cosa che ho capito? E’ che la scuola ormai è da rifare, da 0….senza riserve. L’indulgenza diffusa tra scuola e casa ha creato una generazione che non ha capito il dono che riceve e che ritiene dovuta e scontata qualsiasi cosa. La mia personale opinione è molti professori siano inadeguati, troppo stanchi per avere ancora la forza per imporsi o troppo schiavi della precarietà del loro contratto per investire qualcosa di loro nel proprio lavoro.

E la famiglia? Peggio che andar di notte. Lungi da alcune uscite terzomondiste di “Libero” dove mesi fa si auspicava un ritorno della donna alle sue origini: è deplorevole pensare che tutti i problemi familiari nascano dal fatto che le donne hanno chiesto (ma non sempre ottenuto, ahimè) il riconoscimento dei propri diritti. Tuttavia, se da un lato molti uomini si ostinano a pensare che il loro ruolo si esaurisca nel lavorare e portare lo stipendio, dall’altro altrettante donne pensano che l’uguaglianza sia comportarsi come gli uomini peggiori: tutto questo a detrimento dei figli che hanno dei modelli in preda a continue sindromi da Peter Pan, frustrazioni irrisolte e piccole rivalse. Ma la cosa peggiore è che i figli poi non posso autoeducarsi per il meglio: è noto, un minorenne non ha ancora la maturità sufficiente per determinate cose…se le avesse sarebbe pienamente imputabile.

E allora questi ragazzini, maschi iper-testosteronici che a 14 si credono uomini fatti/finiti e femmine coetanee che si credono donne per qualche tacco? Il bullismo che è ormai a livelli da reato penale? Potrei scrivere qui per ore.

Non è – solo – colpa loro. Mi si potrebbe dire che non dovrebbe essere proprio colpa loro ma, come ho letto da qualche parte “sono solo piccoli adulti. Ora mostrano alla luce del sole quello che un giorno sapranno mascherare sapientemente”. Comunque sia, la colpa è anche di gente come i Moccia, i Volo e – ovviamente – di una famiglia in crisi e di una scuola mediocre.

Già l’istruzione. Mi fa pensare a un’altra cosa. A come la mia generazione sia cresciuta con il mito dello studio e di come ora crede di aver fallito. “Crede” perchè non deve pensarlo. Pensare di aver fallito è l’anticamera della depressione, una parabola in discesa da evitare. Ma a volte la sensazione che qualcosa nella tua maturità sia bloccato, fermo, atrofizzato è netta: lo diventa ancora di più quando ti rapporti a chi ha una situazione più delineata e meno “fluida”.

Ci si sente in errore, ci si sente l’Errore. E si ci si sente giù, con la luce che sembra un po’ più lontana.

Intanto ragazzini vanno alla deriva, coadiuvati da insegnanti demotivati e da genitori che avrebbero ancora bisogno dei genitori.

Come Non Detto

il blog di Leo Ortolani, che ci teneva tanto, bisogna capirlo

Videoludica 2.0

Born To Be Geek

Lavorare con fermezza

È un duro lavoro ma qualcuno deve pur farlo!